spettacolo

De Ira

versi Igor Esposito
drammaturgia Peppino Mazzotta e Francesco Saponaro

I. movimento ORDALIA NERONIANA
II. movimento ULTIMO VIAGGIO DI SENECA
III. movimento CANTO DI SIBILLA
IV. movimento GUERRA

 

Nerone Giovanni Ludeno
voce di Seneca Toni Servillo
Sibilla Licia Maglietta
Tenente Peppino Mazzotta

e con Sean Altamura, Laura Borrelli, Annapaola Brancia D'Apricena, Valentina   Buccella, Rocco Capraro, Maria Luisa Coletta, Andrea Contaldo, Claudia Cuomo, Francesca De Nicolais, Corrado Esposito, Lisa Falzarano, Elena Fattorusso, Adriana Follieri, Rocco Giordano, Yacoubou Ibrahim, Pasquale Ioffredo, Demi Licata, Manuela Mosé, Giulia Pica, Raffaella Testa.

ideazione e regia Francesco Saponaro
scena Roberto Crea, Francesco Saponaro
costumi Laurianne Scimemi
luci Lucio Sabatino
suono Daghi Rondanini
direzione tecnica Lello Becchimanzi
foto di scena Fabio Esposito

una produzione Teatri Uniti - 2006

Di ritorno dalla Grecia, dove ha portato a termine una tournée trionfale partecipando a numerosi concorsi per attori e citaredi, Nerone fa tappa nell'amata Napoli, in una delle sue possibili o immaginarie dimore dei Campi Flegrei, sulle sponde del lago d'Averno. Con la più sprezzante indifferenza per la politica e per il senato romano che a Roma lo attende impaziente, l'istrione dissoluto, il principe incestuoso e matricida, si esibisce in un'ode a se stesso, apoteosi della personalità e dell'autoinganno. Al centro del cosiddetto “Tempio di Apollo”, rudere di antiche terme romane, la corte di liberti, amici e schiavi, manovrata dal delirio di onnipotenza del divino Cesare, consuma un'ordalia di uva, funghi e coiti interrotti.

Su una zattera, di fronte al “Tempio”, nel lago e a pochi metri dalla riva, è Seneca. Con dura eleganza sta per porre fine ai suoi giorni. Il filosofo, indotto al suicidio dal tiranno, segue il tragitto testamentario dei suoi “Dialoghi morali” e delle “Lettere a Lucilio”. Nel darsi la morte con piccoli tagli ai polsi, alle caviglie e ai garretti, con la coscienza in pace, non gli resta che ricordare, mentre il suo corpo tramonta nel vespro, la luce delle sue parole.

Una lontana melopea, canto e profezia di Sibilla, affiora da un canneto sul vago ondeggiare dell'acqua. Sibilla, donna di natura divina e ascendenza millenaria che ingannò Apollo, su una zolla di terra alla deriva lascia un'ultima testimonianza in versi e un ultimo vaticinio per divinare il breve passo dell'umanità che dimentica troppo in fretta la lezione della storia. Il suo sguardo si posa sul teatro del mondo superando la convenzione dei secoli per ricucire in un solo unico ordine visionario passato e presente.

Il suono di una contraerea prorompe d'improvviso. Il sibilo stridente di un caccia bombardiere attraversa il cielo fino a perdersi quasi del tutto non prima di aver sganciato l'ennesimo ordigno. Ci inoltriamo seguendo un sentiero che si apre nella macchia boschiva. Un giovane ufficiale abbandonato al suo destino con un manipolo di soldati ormai cadaveri lasciati a marcire in una fossa comune. È la guerra, con tutto il suo orrore. È la guerra, che lascia solo rovine, menzogne e la rabbia e il disgusto per la più atroce delle insensatezze umane, per la più stupida e scellerata delle demenze a cui ci costringono quei tiranni la cui unica attitudine è quella di precipitare l'umanità nei suoi ultimi giorni.

Francesco Saponaro

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